La Cassazione sui processi “Pinto su Pinto”: principi e tenuta costituzionale della doppia tutela temporale contro l’irragionevole durata dei procedimenti

 a cura dell’Avv. Alessandro Savoca 

1. Premessa – La parabola giurisprudenziale del “Pinto su Pinto”

Con l’ordinanza n. 12113/2025 del 07/05/2025 (testo in calce), la Corte di Cassazione ha integralmente confermato il principio di diritto da tempo sostenuto dal nostro studio legale: il procedimento instaurato ai sensi della Legge n. 89/2001 (cd. “Pinto”) costituisce un ordinario processo di cognizione, e come tale è soggetto al parametro costituzionale e convenzionale della durata ragionevole.

La decisione, resa in un caso seguito in tutte le fasi dal nostro studio, riconosce non solo la legittimità del cosiddetto “Pinto su Pinto”, ma anche la fondatezza della pretesa risarcitoria avanzata da numerosi ricorrenti vittime di un sistema che, nel tempo, ha tradito la sua funzione riparatoria per trasformarsi – paradossalmente – in fonte di ulteriore pregiudizio.

La questione, apparentemente paradossale, ha in realtà origini sistemiche ben radicate e di rilevanza multilivello, coinvolgendo:

  • il principio di effettività della tutela giurisdizionale;

  • l’art. 6 § 1 CEDU, come interpretato dalla Corte di Strasburgo;

  • l’art. 24 Cost.;

  • l’obbligo positivo dello Stato di garantire esecuzione tempestiva delle proprie condanne pecuniarie.


2. Il caso: un gruppo di 61 ricorrenti e tre gradi di giudizio interni

Nel caso oggetto dell’ordinanza in commento, un gruppo di 61 soggetti, già beneficiari di un provvedimento di equa riparazione per la durata irragionevole di procedimenti civili, ha introdotto un secondo ricorso ex L. 89/2001, lamentando il superamento del termine ragionevole anche nella procedura “Pinto” originaria.

Il decreto della Corte d’Appello di Perugia (2022) ha accolto il ricorso, riconoscendo il diritto all’equa riparazione. Successivamente, l’opposizione del Ministero della Giustizia è stata rigettata.

Il Ministero ha quindi proposto ricorso in Cassazione (R.G. 14799/2023), deducendo violazione dell’art. 2, comma 2-septies della L. 89/2001, sostenendo che i ricorrenti avrebbero tratto vantaggio dalla durata del procedimento originario, potendone così protrarre gli effetti.


3. Il principio di infondatezza del vantaggio temporale

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del Ministero, riaffermando un principio fondamentale:

l’equa riparazione non può essere esclusa sulla base di un presunto “vantaggio” derivante dalla durata irragionevole del processo.

Infatti, come rilevato dalla Corte d’Appello e condiviso dai controricorrenti, la protrazione temporale del giudizio originario è dipesa:

  • dalla necessità di attendere la sentenza della Corte Costituzionale n. 34/2019 (incostituzionalità dell’istanza di prelievo nei giudizi amministrativi);

  • da elementi processuali estranei alla volontà dei ricorrenti;

  • da una situazione sistemica già sanzionata dalla Corte EDU nel leading case Cocchiarella c. Italia (2006).


4. Il precedente della Corte EDU e l’inadempimento interno

La Corte EDU, nella decisione D’Alba c. Italia e altri (ric. n. 58442/09), aveva già accertato la violazione dell’art. 6 § 1 CEDU a causa del mancato pagamento nei termini di sei mesi di un decreto “Pinto” esecutivo.

Lo Stato italiano ha presentato una dichiarazione unilaterale, impegnandosi a versare gli importi sia convenzionali (200 euro) sia interni (come da decreto nazionale), entro tre mesi.

Questa pronuncia ha rafforzato ex post la fondatezza della pretesa risarcitoria dei ricorrenti, confermando che la non esecuzione tempestiva dei decreti Pinto è essa stessa una violazione autonoma dei diritti umani.


5. Rilevanza pratica della decisione della Cassazione

La pronuncia della Cassazione non si limita a ribadire la legittimità del “Pinto su Pinto”, ma:

  • valorizza la continuità della tutela giurisdizionale anche quando oggetto è una pronuncia precedente già risarcitoria;

  • riconosce implicitamente il carattere strutturale dell’inadempimento statale;

  • qualifica la durata del procedimento Pinto come autonomamente lesiva, se non contenuta entro margini ragionevoli.

Ne consegue che il meccanismo della L. 89/2001 non può essere sterilizzato nel suo effetto di garanzia, anche se l’oggetto del processo è, a sua volta, un risarcimento per irragionevole durata.


6. Conclusioni

La decisione in commento riafferma il ruolo centrale della Corte di Cassazione nella tutela dei diritti fondamentali processuali, coniugando la giurisprudenza interna con quella europea.
Il procedimento “Pinto su Pinto” non è una tautologia, ma una forma di autotutela del cittadino, costretto a ricorrere più volte contro l’inerzia dello Stato, in un cortocircuito che si risolve solo nel riconoscimento della fondatezza di ogni anello della catena.